Quotidianamente si vedono scene di panico di ogni tipo:
eventi naturali estremi, attentati terroristici, panico tra la folla ecc. Il
minimo comun denominatore di tutti questi fenomeni infausti (e di altri) è il
“Non sapere cosa fare”. Già, dovrebbe essere logico pensare a un piano di
salvezza per le persone in caso di grave pericolo (che sia naturale o
antropico): e invece a ogni disgrazia c’è sempre qualcosa che non va. Lascio
stare i casi dovuti alla follia umana a sociologi e psichiatri e mi concentro su quelli
naturali: ci si chiede come mai, ogniqualvolta che c’è una disgrazia, ci scappi
sempre un morto (o anche ben più di uno) che poteva essere evitato: ovviamente
faccio riferimento a terremoti, alluvioni, frane, valanghe ecc.
immagine concessa da ilcambiamento.it
Il punto è che manca totalmente la cultura della resilienza
e dell’agire in caso di serio pericolo: noi non siamo capaci di
reagire con freddezza e in maniera corretta allorquando c’è una situazione ove non abbiamo il controllo. Tre esempi ai
limiti del grottesco: il primo è stato nel tornado di Dolo e Mira del 2015
quando due imprudenti signori hanno filmano il cono tornadico a poche decine di
metri, non pensando all’incredibile rischio cui sono andati incontro; il
secondo quando alcune persone che, costrette a stare in tenda (il luogo più
sicuro in caso di terremoto), sono schizzare fuori impaurite allorquando c’è
stata un’altra scossa tellurica (non ricordo di preciso quale terremoto fosse);
il terzo quando il folle di turno rimane annegato con la macchina in un
sottopasso allagato dopo un nubifragio.
Questi tre esempi denotano la totale mancanza di conoscenza
in caso di forte pericolo, ma io non do colpe a costoro (a parte forse il terzo
caso…): permettetemi la frase scorretta che “nessuno nasce imparato”, quindi la
vera colpa è di CHI (NON) CI INSEGNA, ovvero della scuola. Quest’ultima (e lo
dice un docente di matematica e fisica) non insegna affatto a essere
resilienti (a come adattarsi cioè a eventi estremi SEMPRE più frequenti), ma insegna una valanga di nozionismo mnemonico, pochissimo di pratico e sforna un sacco di giovani che, non sapendo fare quasi nulla (non sanno aggiustare, riparare, coltivare, adattarsi, e tra questi mi mettevo anche io!), sono
obbligati a cercarsi un lavoro (spesso sotto ricatti, soprusi, orari assurdi,
festività annullate e altro) perché sono obbligati a comprare tutto. Se invece
la scuola insegnasse un po’ meno astrattismo e nozionismo e un po’ più di
manualità e resilienza ne gioveremmo tutti. In fondo, la cultura uno se la può
fare crescendo: chi di voi a 15 anni amava alla follia le tediose interrogazioni sulle
frasi manzoniane o dantesche (nulla togliendo a due signori che hanno fatto la
storia della letteratura) oppure alle (pressochè) inutili dimostrazioni di
formule e teoremi?
Una maggiore preparazione nei casi estremi nonché una
maggiore conoscenza ambientale sono argomenti fondamentali, poiché in caso di
emergenza si salva chi agisce correttamente con freddezza e razionalità.
Sia chiaro, ogni materia scolastica ha la sua indubbia
utilità, ma argomenti come etica ambientale, economia ambientale e
territoriale, geologia ecc. dovrebbero avere un ruolo PRIMARIO nell’istruzione,
a tutti i livelli e in tutti gli indirizzi scolastici.
A proposito di detti, io rivedrei un po’ l’aforisma “un
popolo ignorante è più facile da governare”, o meglio lo rigirerei dicendo “non
è detto che un popolo istruito faccia scelte sagge e resilienti”: chiedere agli Stati
Uniti per conferma (paese di indubbia egemonia mondiale, in cima a tutti i
ranking per eccellenze in ogni tipo, mito mondiale di benessere, con le
università più avanzate e una bassissima disoccupazione).
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